mercoledì 14 aprile 2010

Tg 2 Dossier Sabato 10 aprile

Alla base di ogni riorganizzazione ci dovrebbe essere almeno una teoria di riferimento, da questo servizio della Rai emerge per i nostri pz l'esigenza di assistenza sociale e molto poco si è parlato di cura, anzi il collega di Trieste dice che forse siamo noi a provocare la malattia obbligando il malato che sarebbe libero di scegliere se curarsi o meno, che cosa ne pensate? un ringraziamento per la chiarezza alla dott.ssa Di Gianfrancesco.

3 commenti:

  1. a chi ha scritto il commento alla trasmissione TG Dossier 10 aprile(senza firma!).
    Forse non hai posto la necessaria attenzione, ma la giornalista ha detto chiaramente che 1)non è un problema di "cronicità" si o no, ma 2) che è l'obiettivo dell'organizzazione dei servizi che determina il suo valore, (e quindi il risultato nel produrre cronicità) ; se una regione spende buona parte del suo budget per mantenere in piedi un sistema basato sulle case di cura accreditate, rimarrà poco per sviluppare la "salute mentale territoriale".
    Chi ha solo lavorato in questo sistema (ad esempio Lazio, o peggio ancora in un SPDC) non riesce neanche ad immaginare la ricchezza e il valore di una buona attività di territorio. Un problema aggravante è che i colleghi che non lo sanno fare, è che hanno anche la presunzione di sapere tutto e stare nel giusto. Caspita! ma bisogna essere proprio ciechi per non vedere che lì a Trieste come in tante altre parti funziona.
    A febbraio sono tornato a Trieste per il convegno internazionale. Vi era così tanta gente da tutto il mondo che non si riusciva ad entrare. Le cose che sono state dette meriterebbero di essere all'attenzione di altri dieci convegni. Negli altri paesi vi è una ammirazione per quello che è successo e sta ancora succedendo da noi. Invece c'è qualche sciocco che dice che ci vogliono più posti-letto, più TSO (o più facili/più lunghi), più posti dove mettere i "cronici"!
    Noi abbiamo ospitato delegazioni ufficali di vari stati, venuti a conoscere questo sistema. Dalla Danimarca, dalla Francia, dalla Spagna, dalla Grecia, dalla Germania, dall Bosnia, Romania, e altri che non ricordo. Alcuni stanno intraprendendo cambiamenti epocali nel segno della "deistituzionalizzazione" e ci hanno chiesto aiuto.
    Credo che i colleghi, sopratutto i giovani abbiano il dovere di informarsi con più accuratezza, di chiedere spiegazioni a chi opera diversamente da quello che dettano le università, subdolamente corrotte dalle case farmaceutiche; che se l'OMS nomina Trieste di Rotelli e Dell'Acqua (non è un semplice "collega", è uno che ha un'esperienza da invidiare!) Servizio capofila da ammirare e imitare, ci sarà pure un motivo!
    Dispiace che giovani colleghi presuntuosi (anche meno giovani!) sparino sentenze senza capire cosa oggi ci sia in ballo, quale partita importante si stà per giocare, sopratutto nel Lazio. Se passa la logica del tornare ad una "psichiatria del ricovero" perchè il territorio non è efficiente/efficace, (come Digianfrancesco ingenuamente afferma), si reintrodurranno pezzi di manicomio sempre più grandi; e noi torneremo ad essere dei "normalizzatori" dei pazienti, non più curatori.
    (Uso alcune espressioni che a certi possono apparire un po' strane..., provate a farvi venire qualche curiosità)
    Walter Gallotta.

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  2. Mi piace che sia partita una discussione tra colleghi sulla trasmissione TG2 dossier sulla psichiatria. E'segno che noi psichiatri siamo ancora in grado di appassionarci e non pensiamo solo a farci i fatti nostri.
    La polemica su Trieste però non mi intriga più di tanto. I problemi che la psichiatria dei nostri giorni ha, soprattutto in una area critica com'è Roma, sono tali e tanti che recitare la giaculatoria del miracolo triestino non ci porta da nessuna parte e rinforza solo il conflitto tra buoni e cattivi.
    Mi piace invece che si torni a parlare di cliniche accreditate che succhiano una quantità notevole del budget della psichiatria, o dei morte per contenzione negli SPDC italiani, o ancora del gran numero di pazienti cronici che non hanno alcuna assistenza nei servizi territoriali. Queste questioni non hanno avuto a trenta e rotta anni di Riforma Basaglia alcuna risposta effettiva. Forse è ora che tornino ad essere per tutti noi un cruccio su cui esrcitare la ns incredibile presunzione. Piero Sangiorgio

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  3. Grazie, Piero per aver mirato l'attenzione sul piano di realtà attuale.
    Però ho ancora una piccola osservazione: al di là del concetto di diagnosi, malattia e terapia cardini dell'atto medico e su ciò che significa cronicità. I pazienti intervistati nelle tre situazioni italiane, a me non sembravano molto diversi tra loro come risultato di terapia e riabilitazione. Ma per giovani che mostrano un esordio di psicosi dove possono trovare risposte adeguate nel nostro sistema? In SPDC? In affollati CSM? Nei rari Centri riabilitativi? Si può sperare ancora di parlare di terapia per guarire? Forse come dice Walter Gallotta, che mi dispiace abbia frainteso l'appellativo collega, nella vita ho svolto diverse professioni, poter chiamare collega un medico specialista è un onore ed un grande riconoscimento per chi si trova a poter essere appellato così, sono giovane di esperienza, ma appassionata nella professione ed ancora penso che tenere gli occhi aperti su tante realtà e chiedere un confronto sia un modo per crescere, difficilmente si riesce a far tacere i propri pensieri. Gabriella Raffaelli

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